Le opere giovanili.
La scelta iconica, che affiora da questi schizzi, è incentrata sul ruolo del segno grafico, sinuoso tracciato evocatore di forme, di superfici e di spazi, che sempre più rigorosamente diverrà dominante e permanente tema di ricerca. Anche i soggetti, che esordiscono in queste occasioni, si riveleranno come mondo interiore dell’artista all’interno del quale sperimentare e verificare le assunzioni grammaticali, sintattiche e lessicali del proprio linguaggio.
Nella sintesi di esperienze grafiche presenti nelle opere affiorano, dirompenti, i caratteri espressivi dello scultore. I disegni evocano la materia, le forme scaturiscono dalla luce, lo spazio è luogo fisico e intellettivo al contempo. Il segno grafico si assottiglia, là dove le superfici affinano la loro grana o scompaiono mentre prende corpo, dove i volumi si addensano.
Le rappresentazioni naturalistiche dei personaggi ritratti, dei contadini e contadine, degli animali della propria terra, attraverso le fasi della composizione e scomposizione delle forme costitutive, vengono tradotte in masse e volumi di luce, in superfici vissute e in materia scultorea.
Accanto alle eredità di pittori e scultori, per Pietro De Laurentiis maestri tanto cari, da Pisanello a Michelangelo, da Duhrer a Leonardo, da Gèricault a Degas, da Picasso a Boccioni, appare inevitabile ritrovare analogie e affinità o contrapposizioni con il mondo delle avanguardie artistiche del primo Novecento. Nelle «teste» del 1920 di Naum Gabo, teorico del Costruttivismo russo, ritroviamo una lettura della realtà tesa a cogliere, negli oggetti, il ritmo costante delle linee di forza insite in essi. Quella medesima volontà anima in Pietro De Laurentiis l’attenzione a cogliere, negli squarci della materia, l’emergere delle tensioni interne a essa.
Una filiazione comune sembra legare i suoi studi sul lavoro contadino al dipinto di Aleksej Venecianov L’estate: il raccolto (1780-1847), della galleria Tret’jakov di Mosca, realizzato nel 1827, che anticipa, a sua volta, le dinamiche forme volumetriche delle figure di contadine dipinte da Kazimir Màlevic, La mietitrice, del 1927, di Leningrado, da Vjaceslav Pakulin, La mietitrice, del 1926, da Aleksej Pachomov, Il raccolto, del 1928.
Ancor più vicino appare il legame tra la Testa di giovane contadina del 1913, di Màlevie, dello Stedeljk Museum di Amsterdam, e gli studi con cui Pietro De Laurentiis analizza gli scialli nei ritratti della zia, della madre e delle contadine abruzzesi. Sembra di ritrovare conferma di quella strana affinità di costumi e di valori, che Ignazio Silone dava per certa, tra il mondo contadino dell’Abruzzo e quello dei paesi della Russia da un lato, e della Sicilia greca, dall’altro. Ancora, e non ultimo, è spontaneo il riferimento alla Donna alla vanga di Van Gogh, disegno a pastello nero, in cui si esalta la sua differente concezione della massa corporea rispetto a quella dei pittori russi, ma in cui è evocata con forte affinità poetica, la tensione del movimento e la fatica corporea tangibile nei disegni e nelle sculture di Pietro De Laurentiis.
Pietro De Laurentiis condensa in questi ritratti, in queste figure ricurve, sinuose e turgide la sua memoria di affetti e di vita dei campi, elevandoli alla dignità mitologica di forme permanenti di ogni epoca storica; né vinti né vincitori, non personaggi né simboli, ma persone dotate di una laica religiosità, non di carne e ossa, ma di materia e spirito.
Anche questa ricerca tematica accomuna il lavoro di Pietro De Laurentiis a quella dei nomi più grandi della cultura figurativa del nostro secolo e, spesso, dei secoli precedenti, soprattutto per l’uso strumentale che delle tematiche stesse egli pratica. Ossia i soggetti divengono pretesti per coniugare forme naturali ben note, alle manipolazioni formali e linguistiche di un proprio «stile», a una personale visione plastica di volumi e superfici, alle corrispondenti e coerenti assunzioni concettuali del proprio credo artistico.
Lo studio delle forme: tori, mucche e cavalli.
La gran mole di fogli di studio accumulati negli anni Quaranta attorno a questo tema e la notevole qualità grafico-concettuale che li contraddistingue rivelano che, quello dell’attenzione dedicata alla rappresentazione delle forme di tori e mucche, deve essere stato per Pietro un periodo appassionante, un tema pieno di fascino e una occasione struggente di tensione emotiva.
L’esercizio grafico, teso a cogliere le più minute sfumature delle qualità formali dei soggetti analizzati, si ripete all’infinito, quasi a dar vigore alle proprie osservazioni e certezza alle proprie intuizioni interpretative.
La ricerca del taglio visuale, dello scorcio prospettico da cui muovere la propria analisi, si fa febbrile, i disegni si susseguono incalzanti e, rapidamente ultimati, vengono accantonati sul terreno o sul pavimento dello studio e nella foga, talvolta, persino calpestati. Ma tutti conservano il fascino e la freschezza di un’intuizione felice, a tal punto da rendere difficile compiere tra essi una selezione di taglio qualitativo.
In questi disegni come in altri, è leggibile la preoccupazione dello scultore, la volontà di prefigurare qualcosa che troverà la propria espressione piena del tutto tondo della tridimensionalità scultorea, nel modello, sia esso in cera, in gesso colorato, in legno o infine in bronzo, materiale a Pietro De Laurentiis così caro.
Le sue precedenti frequentazioni culturali e artistiche sono evidenti in questi lavori, ma traspare in essi, altrettanto evidente, lo spessore di una ricerca personale che ormai gli appartiene, lo contraddistingue e lo consegna al proprio tempo.
Cosicché non è possibile venire a contatto con queste opere, senza collocarle nello spazio della sua singolare visione del mondo dell’Arte e nel clima culturale degli anni che le hanno generate. La qualità artistica che rende permanente la fragranza di un’opera d’arte sta, appunto, in una chiara e, al contempo, originale appartenenza al proprio tempo. (Nino Gurgone)
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